L’etica sembra essere risucchiata continuamente nella centrifuga del “tanto evocata, quanto smentita”. Dobbiamo diffidare ogni volta, perché dietro ogni invocazione di etica e di moralità si nasconde un modo per disattenderla e delegittimarla. Come se, per salvaguardarne la forza, l’unico modo che ci è rimasto è quello di rispettarla tramite il silenzio. Del resto appartiene a un’antica saggezza il ritenere che l’etica piú che di prediche ha bisogno di pratiche. Piú che di trattati e di codici ha bisogno di comportamenti. Ma oggi il livello di allarme sembra essere stato ampiamente raggiunto perché lo scadimento etico dei modi di vivere non è neppure piú percepito come dannoso. Anche se ne facciamo tutti esperienza quotidianamente nel lavoro, nelle relazioni sociali, nell’economia, nella politica, e la lista potrebbe continuare.
«Forse - ha affermato Jorge Luis Borges - l’etica è una scienza scomparsa dal mondo intero. Non fa niente, dovremo inventarla un’altra volta». L’etica oggi significa una domanda radicale sul nostro poter vivere insieme. Un vivere insieme che va scelto, va costruito e abitato. L’etica dà forma al vivere insieme e nello stesso tempo emerge come la forma del vivere insieme. E solo in quanto emerge come forma del vivere insieme, diviene a sua volta trasmissione sempre rinnovata del vivere insieme.
L’antropologia culturale ci ha insegnato che l’etica è sorta molto concretamente come cura del vivere insieme degli uomini e come rafforzamento plastico e dinamico della vita insieme. Ci ha pure insegnato che le regole non sono mai state poste con l’unico scopo di vietare, bensí con l’intenzione di rendere possibile un’apertura all’altro.
Le regole, in realtà, devono creare le condizioni per poter abitare con gli altri. D’altra parte gli uomini, che sono gli unici tra i viventi ad aver inventato la casa e la dimensione dell’abitare, non stanno mai da soli: per loro, abitare significa sempre stare con qualcun altro. La casa, di fatto, è sempre fatta, per essere vissuta insieme ad altri e l’abitare si esprime e si concretizza sempre nel condividere e nel restare - cioè nell’essere e nell’essere con - nel medesimo spazio, con tempo.
Alla fine, il nesso tra l’etica e l’abitare risulta essenziale. Tanto che anche nell’etimologia dell’etica e del discorso morale incontriamo sempre un riferimento semantico all’habitus, all’abito, ossia alla tendenza a dare durata alle disposizioni, alle attitudini, ai comportamenti e agli atteggiamenti piú buoni per vivere insieme.
E l’habitus prima che un modo di fare è appunto un modo di essere.
In tal modo siamo giunti al filo conduttore del nostro impegno a inventare un’altra volta l’etica, ossia l’impegno a spostare l’asse dell’etica dal fare all’essere. In tal modo possiamo anche apprezzare un connotato duraturo dell’etica che consiste nell’essere connessa con la bellezza e quindi nel tenere insieme il buono e il bello. La tensione si rivolge alla costruzione di una vita bella e buona da vivere insieme, oltre le gabbie dell’individualismo che ha svuotato di bontà e di bellezza il nostro modo di abitare questo mondo, questa terra, questo tempo, questa vita. E il vivere, il “dare forma alla vita”, per l’etica applicata, diviene il vero banco di prova, in quanto l’etica è proprio lo sforzo e il desiderio di plasmare la propria vita personale e politica, esattamente secondo una forma “buona e bella”.
Lorenzo Biagi
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