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… si pone un “di fuori” perché esista un “fra noi”, si danno delle frontiere perché si delinei un paese interno, si guardano gli “altri” perché prenda corpo un “noi” | Michel De Certeau
L’Italia che emerge anche da recenti Rapporti Censis sulla situazione sociale del Paese, appare sfinita, sfibrata, demotivata, ma soprattutto decisamente ostile. Divisa e lacerata nelle sue relazioni sociali, come ha ancora piú di recente confermato l’Istat. I numeri parlano da soli. Siamo un Paese che ha un grosso problema: non sappiamo piú vivere insieme! Tutto questo è pure confermato dalle cronache cittadine: fatti di ormai ordinaria e quotidiana violenza, alimentati dall’insofferenza e dalla voglia di prevaricare il prossimo.
Dopo il rancore, la cattiveria, sintetizza il Censis. Per il 75% degli italiani gli immigrati fanno aumentare la criminalità, per il 63% sono un peso per il nostro sistema di welfare. Solo il 23% degli italiani ritiene di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori. E il 67% ora guarda al futuro con paura o incertezza.
Il potere d’acquisto delle famiglie scende ancora, verso il 6,3% rispetto ai dati del 2008. Vi è tra le cause una vera e propria emergenza lavoro: scompaiono i giovani laureati occupati (nel 2007 erano 249 ogni 100 lavoratori anziani, oggi sono appena 143).
E il dato che fa pensare è che si tratta di un atteggiamento trasversale a tutte le età: dal dodicenne di Garlate (Lecco) che impediva ai compagni di prendere posto sullo scuolabus alle due mamme sia a Gela (Caltanissetta) dove si è arrivati a litigare e a picchiarsi proprio durante la recita di Natale dei figli.
Gli esempi potrebbero continuare. E i media ce li mettono davanti ogni giorno. Perfino politici, amministratori, sindaci, assessori, consiglieri sono spesso e volentieri fomentatori e provocatori di rabbia, di rancori, di conflitti e violenze verbali, che per altro sono completamente avulsi dalla realtà e dalla sua verità.
I dati del Censis parlano quindi di una “conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”, un atteggiamento che si sarebbe insinuato nei gangli della nostra società e che ci spinge a fare da soli.
«La cattiveria è una componente negativa e nefasta, regressiva e istintuale, della nostra esistenza», ha affermato Duccio Demetrio, filosofo e fondatore della Libera Università dell’autobiografia di Anghiari.
«Ha sempre fatto parte dell’animo umano, ma oggi appare in una veste nuova, piú diffusa e profonda. Stiamo diventando ogni giorno sempre piú individualisti, l’egocentrismo ha ormai raggiunto una diffusione endemica. È qui che nasce la cattiveria che ci porta a non avere considerazione dell’altro, a disprezzarlo, a considerarlo un nemico, anche presupponendo una competizione che non esiste, come quella con gli immigrati, o cercando - conclude Demetrio - un semplice capro espiatorio, sufficientemente debole, sul quale accanirci».
Nella sua profonda riflessione su “Rabbia e perdono”, la filosofa Martha Nussbaum scrive che la rabbia può servire come segnale che qualcosa non va. E può scuotere le persone dall’inerzia verso le cose sbagliate. Martin Luther King intravide nella rabbia una motivazione essenziale al lavoro di correzione di un’ingiustizia sociale.
Ma ne rintracciava anche un aspetto pericoloso nel desiderio di rivalsa: «non appena la rabbia spinge il popolo a muoversi - diceva King - il sentimento deve essere “purificato”, cosí il popolo conserva la protesta, ma senza anelito a rivalse». Proprio quanto oggi non si vuole fare, soprattutto in politica, ma anche nei posti di lavoro.
Questo numero propone una via che vuole esattamente “valorizzare” il conflitto , cogliendo la spinta positiva della diversità, che ha bisogno di uno spazio di espressione, e usarla come energia che porti all’incontro e al confronto fino a una buona convivenza.
Confronto che fa crescere, che fa fare passi in avanti, tanto nella maturazione della persona quanto nella fiducia della vita associata in tutte le sue diramazioni. E piú concretamente: la purificazione della rabbia e la valorizzazione del conflitto passa attraverso la figura pratica della mediazione. E tutte le professioni - in futuro ne avremo sempre piú bisogno - che sviluppano la mediazione nei vari campi della vita associata, saranno chiamate a questa opera paziente di tessitura della vita comune.
La mediazione è l’orizzonte pratico che riesce a tenere insieme l’aspetto generativo della conflittualità e l’aspetto riconoscitivo delle diversità. Punto delicato e decisivo oggi. Mediare, quindi, non vuol dire, come ancora superficialmente si ritiene, trovare un accordo rimuovendo le cause del conflitto, ma al contrario far emergere quelle cause e trasformarle in voglia nuova di costruire una convivenza basata sul riconoscimento e sulla valorizzazione delle differenze, ossia delle unicità che rendono la vita insieme all’altro sempre piú ricca e arricchente.
Lorenzo Biagi
- Editore
- Proget Edizioni
- Autore
- Autori Vari
- Consulenza Editoriale
- Paola Canna, Manuela Partinico
- Lingua
- Italiano
- Anno Edizione
- 2017
- Dossier n°
- 02/2017
- Numero Pagine
- 112
- ISBN
- 978-88-94868-33-3
Alberto Rizzi
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